Siamo stati tante volte in Finlandia, in Norvegia, in Svezia, in Polonia e poi in Danimarca. A fine mese partiremo nuovamente per la Finlandia.
Quando torniamo con le nostre esperienze impresse nella nostra memoria, con entusiasmo ne parliamo ai genitori che sono in procinto di scegliere la scuola per i loro figli. I genitori dei bambini che entrano nella scuola elementare, informati da quelli che hanno già figli inseriti nel percorso scolastico, quando arrivano alla nostra Daisy, chiedono subito ragguagli su cosa significhi il metodo finlandese e cosa implichi per i loro figli appartenere a una scuola italiana che è diventata in poco tempo simile a quelle del Nord Europa. In seconda battuta e timidamente chiedono come sono organizzati i compiti che, nella normalità delle cose, vengono affidati ai bambini da fare a casa. Anche i genitori che si approcciano a iscrivere i loro figli nella nostra scuola media Holden, a metà colloquio, ci chiedono se i compiti sono veramente così tanti, come descrivono gli amici che stanno affrontando questo percorso con i loro figli, che nella normalità studiano insieme fino alle ore 11:00 di sera e poi anche il sabato e la domenica, inibendo qualsiasi iniziativa di socialità familiare, gite, tempo libero e passeggiate.
I nostri viaggi e le nostre osservazioni ci hanno sempre fatto prendere una posizione netta: non si tratta di non dare compiti ai bambini e ai ragazzi a casa, poiché le esercitazioni sono importanti, bensì è importante l’organizzazione che c’è alla base.
Calandoci nello specifico, cerchiamo di capire le problematiche dei compiti a casa formulando una domanda: un bambino o un ragazzo che rimane a scuola dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio avrà ancora compiti da assolvere fino alle undici di sera? Mi pare una domanda sciocca, priva di rettitudine e di fondamento. Mi viene spontaneo rispondere dicendo che se gli studenti hanno ancora compiti è perché il tempo scuola è stato sprecato, buttato, non utilizzato. E a questo punto ci agganciamo alla didattica finlandese: con classi che non superano i 20 studenti e insegnanti formati, i ragazzi non dovrebbero passare il resto della giornata a compilare i compiti; al massimo potrebbero avere qualche pagina da leggere. Secondo voi, otto ore passate a scuola non dovrebbero bastare per fare esercitazioni, impostare il lavoro, costruire schemi, simulare interrogazioni, scrivere temi, fare esercizi di matematica e conversazione in inglese?
Harry Cooper, docente di psicologia alla Duke University, afferma: “non ci sono prove che qualsiasi quantità di compiti a casa migliori la prestazione scolastica degli alunni di scuola primaria“. Secondo il docente, non ci sono correlazioni fra lo svolgimento dei compiti a casa e il miglioramento delle competenze degli studenti. Uno studente che ha passato otto ore seduto in classe, che deve ancora subire l’immobilità pomeridiana fino a tarda ora, sicuramente non proverà amore per i libri e per il sapere, ma finirà per odiare la scuola. L’idea che l’acquisizione del sapere debba passare obbligatoriamente dalla fustigazione è un’idea fortemente radicata fra gli italiani, ed è una concezione medievale del tutto avulsa dal sistema scuola internazionale.
Se vogliamo esagerare, possiamo citare l’Istat, che dipinge l’Italia come il paese europeo con il maggior numero di analfabeti di ritorno. E se vogliamo giocare con i numeri, citiamo ancora l’Istat, che dichiara che il 57% degli italiani non legge neanche un libro all’anno.
L’analfabetismo funzionale è lo specchio di una società che non partecipa alla vita politica e non esercita i propri diritti, una società quindi che non considera il sistema scuola come un percorso di elevazione, di formazione, di focus reale per il futuro dei propri figli, ma come un passaggio obbligato e disorientante.
Cosa può fare la scuola per dare risposta a questa tendenza allarmante?
La razionalizzazione dei compiti post-scuola e un maggiore coinvolgimento dei genitori nel sistema scolastico potrebbero essere una prima risposta importante. Proprio come nelle scuole internazionali, dove i genitori sono parte integrante dello scheletro portante della scuola, i quali propongono, costruiscono e si confrontano, anche la scuola italiana dovrebbe diventare una piazza aperta alle proposte.
Nei nostri afternoon tea con i genitori, spesso ci confrontiamo sulle modalità dei compiti pomeridiani e, in particolare, sull’implementazione di una nuova didattica al mattino, dove lo studente diventa realmente una parte integrante della lezione, adottando nuove metodologie come la Peer Education e il Cooperative Learning, dove nella prima uno studente guida l’altro nello svolgimento di un compito o nell’apprendimento di un concetto, e nella seconda un gruppo lavora a un’ampia varietà di compiti come esercizi di lettura e comprensione, risoluzione di problemi e discussioni per la produzione di elaborati.
Per esperienza posso dire che sia la Peer Education sia il Cooperative Learning funzionano: i ragazzi sono attenti, partecipano, sono propositivi, non c’è distrazione e non subiscono passivamente le lezioni.
Concludo con una provocazione: dimentichiamo i compiti a casa, lavoriamo di più a scuola e non dimentichiamo che l’intelligenza artificiale è dietro l’angolo e che i nostri studenti sono esperti informatici che dialogano e colloquiano con l’AI quotidianamente, anche quando devono fare i compiti a casa!
