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“CON L’ARTE SI PUÒ INTERPRETARE LA REALTÀ CIRCOSTANTE”: INTERVISTA ALLA PROF.SSA MONICA FERRI

Dopo aver approfondito il percorso e approccio didattico delle professoresse Mia Pekkala e Lydia Easley proseguiamo la rubrica “Scuola delle eccellenze” con l’intervista alla prof.ssa Monica Ferri, docente di cinese e arte della Scuola Media Internazionale Holden e Licei Pascal nonché coordinatrice didattica della Daisy Primaria Internazionale.

Partiamo dagli albori: come si è avvicinata al mondo dell’arte e del restauro? Qual è stata la spinta propulsiva da cui è scaturita la passione?

La passione è scaturita nell’arco del mio percorso scolastico: al momento della scelta della scuola superiore, infatti, ho optato per un Istituto di Fashion Design, quindi un indirizzo già afferente all’universo artistico in senso lato. In quarta superiore, il professore di Storia dell’arte è cambiato e, con il suo approccio, ha fatto nascere in me l’amore per la materia. In quinta, dunque, prima dell’esame di maturità, quest’ultimo, considerata la mia passione per il mondo dell’arte, mi ha consigliato di informarmi per una scuola di restauro, presentandola come valida alternativa alle scuole di Fashion Design di Firenze e Milano. Mi sono, così, avvicinata all’ambito del restauro e ho superato il concorso per entrare nella scuola consigliata dal mio professore delle superiori (posizionandomi quarta su dodici prescelti e più di 700 iscritti).

La spinta propulsiva è derivata, perciò, dal mio docente, nonché uno storico dell’arte di fama nazionale, Vincenzo Terraroli: l’insegnante che mi ha illuminato la strada e a cui sarò per sempre grata.

Come è avvenuto il passaggio dal chiuso dello studio artistico all’insegnamento? Vi sono punti di raccordo tra le due pratiche? Se sì, quali e come si influenzano a vicenda?

Il chiuso dello studio artistico, in realtà, non vi è mai stato, dal momento che ho sempre lavorato per cantieri, quindi nella cornice di ristrutturazioni e restauri di apparati decorativi di chiese e palazzi. Mi sono avvicinata all’insegnamento perché, avendo una mia attività, le scuole di restauro e le accademie d’arte di Brescia (da dove provengo) mi avevano offerto la possibilità di avere stagisti nel periodo estivo e, interessata all’idea, avevo dato la mia disponibilità. Di qui, dopo il periodo di stage, gli allievi hanno iniziato a parlare del lavoro svolto insieme e dell’agio provato nel corso del periodo di formazione. È, allora, giunta la proposta di lavorare all’università, ed è così iniziata la mia carriera in qualità di docente, sempre eseguita con passione e “a regola d’arte”.

Insegnamento e arte sono, perciò, molto connessi, soprattutto perché il mio ambito di docenza è costituito dalla Storia dell’arte, dal restauro e dal disegno: il collegamento è breve e l’influenza tra i due campi molto elevata.

Lei ha vissuto per molti anni a Nanjing, in Cina, dove ha anche aperto e diretto una scuola d’arte per bambini: che tipo di esperienza è stata? E come l’ha forgiata, a livello umano e professionale?

Tutto è nato perché non riesco a stare mai ferma! A Nanjing, infatti, ho avuto la preziosa possibilità di creare uno studio nella terrazza vetrata della casa in cui abitavo, dove ho iniziato a tenere lezioni private d’arte. Non parlavo una parola di inglese, ma dopo circa otto mesi in Cina avevo già avviato le mie attività artistiche: non mi chiedere come comunicavo, perché non ne ho idea e forse non me ne rendevo conto neanche io! So solo che ciò che svolgevo mi piaceva moltissimo.

Dopo poco, ho conosciuto la mia socia cinese, con cui ho aperto una scuola d’arte per bambini, e poi ho iniziato a collaborare con la scuola inglese, insegnando arte e lavorando come supporto in qualità di arte-terapista. L’esperienza è stata meravigliosa e unica: la prevalenza dei miei piccoli studenti (dai 5 anni in su) era costituita da bambini cinesi e coreani, profondamente appassionati della cultura italiana e, in particolare, della sua arte, perciò ogni cosa che proponevo accendeva in loro un entusiasmo e una luce negli occhi che, inevitabilmente, travolgeva e appassionava anche me.

Dal punto di vista umano, invece, si è creata una grandissima famiglia con la mia socia, le madri dei bambini e i professionisti con cui lavoravo: una “famiglia d’anima” in un Paese sconosciuto, che si è formata in maniera naturale intorno a me e alla mia famiglia e che porterò sempre nel cuore.

Qual è l’impatto più significativo che l’arte può avere sulle giovani menti, in particolar modo sui bambini? E come può essere stimolato, nella vita di tutti i giorni?

Onestamente, non saprei dire quale potrebbe essere l’impatto più significativo. Ciò che so per certo, tuttavia, è che, fin dalla preistoria, l’arte ha sempre avuto un’influenza positiva sull’uomo. Con l’arte, infatti, si può far spaziare la mente, si può giocare con i propri sogni e pensieri, si può interpretare la realtà circostante.

L’arte, soprattutto quella moderna, è libera, proprio come i bambini: mi riferisco all’arte nel complesso, intesa come musica, teatro, scrittura, in costante movimento come l’essere umano, con cui cresce ed evolve. L’arte è insita nei bambini e nell’uomo fin dalla giovane età, e si modifica e interseca con le emozioni, il vissuto e i sentimenti di ciascuno.

L’ideale, per stimolarla quotidianamente, sarebbe, dunque, avere genitori che accompagnano i propri figli a visitare mostre, palazzi e chiese, e facciano camminare i bambini con il naso all’insù, anziché in giù, e, di conseguenza, facciano ammirare loro ogni dettaglio che li circonda. In Italia siamo, poi, molto fortunati da questo punto di vista, perché forse in ogni angolo vi è una stimolazione artistica. E poi, sicuramente, leggere tanto ed entrare in mondi fantastici dove si incontra ogni tipo di forma artistica.

 

Qual è, poi, il Suo approccio in classe? Come si pone nei confronti dei Suoi alunni e quali sono gli elementi di innovazione del Suo metodo d’insegnamento dell’arte e del cinese?

Per quanto concerne l’arte, l’approccio è empatico: cerco di instaurare subito una connessione con gli studenti (anche se non sempre è semplice) e di dettare, soprattutto, delle regole, funzionali al rispetto reciproco. In seguito, tento di trasmettere il più possibile la mia passione per la materia, consentendo loro di farli partecipare attivamente alle lezioni e di porsi nei miei “panni”, facendoli diventare “docenti” per un giorno e conducendoli a ragionare tantissimo, in particolar modo mediante l’osservazione. Ai miei allievi, infatti, dico sempre che le risposte alle mie domande le hanno sotto gli occhi: se sono bravi a osservare, le opere d’arte possono veicolare molte emozioni, ma anche risposte sul periodo storico (con acconciature, abiti, mobilio) e spiegare una quantità innumerevole di cose – anche se si posseggono poche nozioni. Con questa generazione, abituata a non soffermarsi più sui dettagli e a osservare ma a scorrere le home dei social, è forse più complesso, ma non impossibile.

Con il cinese, invece, essendo esso una lingua, è diverso, perché in quanto tale deve essere studiata in maniera più approfondita. Non insegno solo a parlare il cinese, ma anche a vivere a tutto tondo la cultura – lontana ma vicina – del Sol Levante, conoscendone usi e costumi, dall’antichità a oggi, e facendo avvicinare gli allievi a un Paese e a un mondo culturale diverso dal nostro. Alla storia e alle curiosità della nazione affianco, poi, il dialogo e l’acquisizione delle parole, facendo interiorizzare agli studenti il vocabolario utile per le conversazioni di uso quotidiano.

Lei, inoltre, figura tra le fondatrici della Daisy Primaria Internazionale, ossia la prima scuola elementare d’Italia in corso di accreditamento da parte del Ministero dell’Educazione della Finlandia: com’è nata l’idea? E come il metodo finlandese potrà crescere bambini più empatici, curiosi e indipendenti?

L’idea è nata da due menti pazze, ossia la mia e quella della Dirigente scolastica dell’Istituto Pascal Nicoletta Coppo. Ci siamo incontrate per caso, un giorno a scuola, perché mi sono rivolta a lei per un progetto sul Chierese. Abbiamo lavorato molto bene insieme e, piano piano, la mia esperienza internazionale e la sua grandissima dimestichezza con il territorio hanno fatto scaturire in noi il nostro credo, ossia la speranza di vedere dei bambini crescere in un mondo migliore e di far sì che essi stessi possano renderlo tale. È nata, così, la Daisy Primaria Internazionale: una scuola in cui i bambini sono educati alla curiosità, all’apertura mentale e al rispetto, in un modo forse più semplice e naturale rispetto alle medie e al liceo.

Il metodo che adottiamo è un connubio di diversi approcci, dove, senza dubbio, ha un peso maggiore quello finlandese, che fornisce autonomia agli studenti, ma nel pieno rispetto delle regole: nel momento in cui il bambino prende confidenza con se stesso, accresce la propria autostima – non perdendo la propria umiltà – e si mette a disposizione degli altri, infatti, si pone in comunicazione con questi ultimi e si incuriosisce, perché così facendo riesce a entrare in empatia con i compagni e a sviluppare la collaborazione e la crescita del gruppo.

Quali sono le Sue speranze per il futuro, a livello didattico? E come prevede che cambieranno le cose, da questo punto di vista?

Credo che tutto dipenda dagli insegnanti: se non si ha un corpo docente coeso e allineato, non si va avanti. Spero, quindi, che in futuro vi sia lo stesso mix di culture, entusiasmo e professionalità che vi è ora, e che i bambini percepiscono, interiorizzano e amano.

Le cose cambiano perché siamo noi a volerle cambiare e a desiderare che i bambini crescano in un ambiente che evolve e si modifica su misura per loro.

Intervista di Roberta Scalise