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INSEGNARE MUSICA IN LINGUA INGLESE: INTERVISTA ALLA PROFESSORESSA AMIE ROBIN WEISS

Dopo aver conosciuto meglio Gaia Daniello, insegnante di danza classica, approfondiamo la conoscenza di un’altra docente della Daisy Primaria Internazionale: la professoressa di musica in inglese Amie Robin Weiss.

Partiamo dagli albori: come si è avvicinata al mondo della musica? E che cosa l’ha spinta ad abbracciare questa passione, dedicandosi, nello specifico, agli strumenti ad arco?

Ho iniziato a suonare il violino all’età di 6 anni. Negli USA, a quel tempo, si studiava strumento e non vi erano particolari enfasi e opportunità per apprendere i fondamenti sonori “propedeutici”. Ho imparato tutti gli elementi della musica – lettura delle note, ritmo, intonazione, esecuzione d’insieme, ascolto, teoria, storia etc. – con fatica e con molti fallimenti, attraverso gli studi di violino. Intorno ai 14 anni ho, poi, iniziato a suonare più seriamente.

Forse, stranamente, ho capito di voler diventare una violinista professionista dopo un corso estivo di musica particolarmente arduo che mi ha spinto fino ai miei limiti emotivi e violinistici. Ho visto quanto ero indietro, ho visto quanto fosse soddisfacente il cammino.

O, forse, ho cominciato a percepire l’enormità e la profondità del percorso musicale. La certezza di diventare una musicista professionista mi ha “preso” al ritorno a casa, stagliandosi alla stregua di una grande necessità e responsabilità, più che di una scelta.

 

Ci racconti dei Suoi anni a New York: com’è iniziata la Sua carriera da musicista e quali sono state le Sue esperienze di spicco, in questo ambito? 

Comincerei dagli anni appena precedenti, in Conservatorio. Ho frequentato, infatti, il Conservatorio di Oberlin, che è un’istituzione di alta qualità nel bel mezzo del nulla nell’Ohio, negli Stati Uniti: c’è poco da fare, oltre allo studio! Ho, così, avuto la preziosa opportunità di imparare dal grande pedagogo ceco Milán Vitek, che in precedenza aveva insegnato a Copenaghen per 30 anni e aveva formato molti dei primi violini e direttori di violino, nonché solisti, della Scandinavia. È stato un insegnante formidabile e, per me, un esempio di supremo rigore, notevole curiosità e grande umanità. Sembrava non vacillare mai nel suo stupore per la musica e per il mondo, ed esigeva sia coraggio che introspezione. Tra i compagni di classe, molti erano danesi e svedesi che avevano seguito Milan negli Stati Uniti, perciò abbiamo avuto modo di scambiarci molte informazioni sul loro sistema educativo e affini.

All’Oberlin, fucina della composizione contemporanea, ho avuto accesso anche al mondo radicale della musica sperimentale, astratta, contemporanea, atonale, aleatoria e concettuale: accanto al repertorio violinistico tradizionale, perciò, in quegli anni mi sono specializzata anche in questo genere.

Ciò ha portato con sé un’ampia lettura della filosofia dell’arte concettuale, dei sistemi di educazione musicale inclusivi e dei modi alternativi di impegnarsi nella musica. In quegli anni, inoltre, più volte alla settimana andavo anche a casa di una suonatrice di sitar dell’India settentrionale, la mia guruji Hasu Patel, che mi introdusse al sistema raga indostano e mi insegnò la musica classica dell’India settentrionale: lei al sitar e io al violino. Considero Hasu Patel e Milan Vitek come, rispettivamente, la mia madre e il mio padre musicali. Ed è forse proprio tale background che può spiegare qualcosa di me e anche di come sono arrivata in una scuola come la Daisy Primaria Internazionale.

Per riprendere le fila del discorso, quando mi sono trasferita a New York, dopo la laurea, sono stata selezionata per un seminario di formazione professionale attraverso la Carnegie Hall, con Yo-Yo Ma e il suo Silk Road Ensemble: un collettivo di incredibili musicisti provenienti dallo storico percorso della Via della Seta, arricchito da dei musicisti classici occidentali come Yo-Yo Ma e altri. Questa esperienza, durata due settimane, pregna di incontri musicali e culturali tra persone di background diversi – comprese nazioni in guerra – è stata molto profonda per me, e ha portato a gran parte della mia successiva attività professionale.

Di qui, ho collaborato con orchestre da camera, quartetti d’archi, compagnie di danza, compositori, musicisti popolari, artisti visivi e così via. Una delle esperienze più formative è stata quella di diventare membro dell’orchestra da camera The Knights nel 2004 (di cui faccio ancora parte), diretta in parte da alcuni musicisti del Silk Road Ensemble. Con The Knights, sono stata in tournée ovunque, ho registrato e suonato con grandi solisti sia della classica occidentale che di diverse tradizioni musicali, ho presentato in anteprima molti nuovi lavori e mi sono impegnata in un ensemble inizialmente gestito dai suoi musicisti, avviato come un gruppo piuttosto informale di amici, e trasformatosi in seguito, e lentamente, in una forza prestigiosa della musica statunitense.

Mi reco regolarmente a New York e, proprio lo scorso giugno, sono stata in tournée con i Knights e il brillante mandolinista Chris Thile.

Nel 2009 ho, poi, deciso di continuare i miei studi e realizzare il sogno di una vita, ossia quello di vivere all’estero: mi sono trasferita a Barcellona per studiare violino barocco e ho anche conseguito un Master in Studi sulla traduzione.

L’insegnamento, invece, quando è sopraggiunto? E come dialogano e si influenzano quest’ultimo e il mondo della musica? L’uno può agevolare l’altro, e viceversa? E se sì, in che modo?

In verità, ho cominciato a insegnare violino al liceo. L’ho sempre amato e nutrivo un tale amore per i miei insegnanti che desideravo portare avanti il ​​loro lavoro. Anche a New York ho insegnato violino, ma è solo quando mi sono trasferita all’estero che ho cominciato a insegnare la lingua e la musica in modo più formale. Ho ampliato la mia formazione con corsi di insegnamento della lingua attraverso l’Università di Cambridge (CELTA) e della musica in varie istituzioni, tra cui la British Kodály Academy. Non posso immaginare di insegnare senza essere coinvolta nella pratica artistica, e viceversa. Quando insegno a principianti e bambini piccoli, infatti, percepisco sempre l’intero percorso musicale e carrieristico, e soprattutto i livelli più alti che si possono raggiungere. Spesso, in questo senso, sottovalutiamo i bambini: credo, invece, che dovremmo cercare di introdurli a cammini di studio utili a raggiungere la grandezza – qualunque cosa ciò possa significare per ciascun individuo –, fin dall’inizio. In particolar modo, penso che la grandezza dovrebbe iniziare con la gioia e con un tipo di divertimento molto “deliberato” e impegnato. Quest’ultimo, appunto, aiuta a conoscere intimamente il percorso giusto per noi stessi, in qualità di insegnanti, e a far sì che esso guidi, di conseguenza, il contenuto del curriculum scolastico.

Qual è il Suo approccio in classe? Come si pone nei confronti dei Suoi alunni e quali sono gli elementi di innovazione del Suo metodo didattico?

In primo luogo, cerco di costruire un rapporto duraturo con la classe che sia positivo, nutriente e concentrato. Senza questo, non c’è materia da insegnare! Educare in una lingua meno familiare per gli studenti crea anche problemi particolari e aumenta la necessità di un ambiente sicuro e inclusivo.

Devo, poi, ammettere – e forse questo risulterà controverso – che non mi sento molto innovativa nel mio insegnamento. L’innovazione, infatti, non equivale sempre all’eccellenza, e credo che la ricerca di quest’ultima e le grandi esperienze artistiche per i bambini siano la priorità. Cerco, allora, di migliorare e approfondire continuamente il mio insegnamento: leggendo, frequentando seminari, raccogliendo feedback, consigli dai colleghi e così via, ma questa è una pratica normale per gli insegnanti e poco innovativa. Abbiamo molta saggezza tramandata dal passato e anche nelle nuove norme di “migliore pratica” che dovrebbero essere considerate e adattate in base al contesto e agli alunni in questione.

Credo profondamente nell’approccio sostenuto da molti metodi e filosofie di insegnamento: gli studenti dovrebbero sperimentare, esplorare e, infine, produrre tutti gli elementi musicali da soli – con il proprio corpo –, prima ancora di apprendere termini o dati accademici. Raramente, se non mai, mi avvicino a un elemento tramite la presentazione piuttosto che con un’introduzione “tattile”. Gli studenti devono sentirlo, cantarlo, muoverlo, picchiettarlo, toccarlo, suonarlo e solo allora impararne il nome. Soprattutto, mi focalizzo sul canto e la formazione ritmica, in modo tale che gli studenti sviluppino il loro orecchio interiore e possano espanderlo verso l’esterno, fino al raggiungimento di qualsiasi tipo di coinvolgimento con la musica. In molte occasioni, ancora, faccio riferimento al contesto storico-culturale, prediligo la fruizione di strumenti adatti all’età e mi piace che gli studenti si esibiscano frequentemente in situazioni informali, affinché possano sperimentare l’intero corso di apprendimento-condivisione offerto dalla musica. In tal modo, molti alunni superano anche la paura del palcoscenico, semplicemente praticando l’arte dello spettacolo. 

Che cosa l’ha portata, poi, ad abbracciare il metodo educativo finlandese, caratteristico dell’Istituto Pascal e delle sue scuole? E che cosa, di esso, sente maggiormente affine al Suo modello d’insegnamento?

Considerando la mia formazione, i miei interessi e la mia esperienza, mi sono sentita molto in linea con l’approccio. Ero anche curiosa e desiderosa di imparare io stessa dal metodo, che da tempo sapevo essere eccellente. Mi sono sentita in sintonia con i consulenti e il team di insegnanti, e il progetto mi è apparso fin da subito pieno di potenziale. Chissà, forse anche a causa della mia eredità familiare scandinava…

Come si articoleranno le lezioni di musica in inglese alla Daisy Primaria Internazionale? La sua esperienza cosmopolita in qualità di concertista ha influenzato il Suo modo di insegnare? In caso affermativo, come?

Le lezioni sono polifoniche: stiamo imparando sia la lingua musicale che l’inglese. Entrambe fanno parte dell’ideazione delle mie lezioni e delle attività che svolgiamo in classe. Ho numerosi obiettivi per quanto concerne il contenuto da affrontare nell’anno scolastico – e quindi nelle singole lezioni – ma, come ho accennato sopra, l’esperienza pratica e spirituale di vivere come musicista mi fa capire che gli elementi più importanti da trasmettere sono i seguenti: la gioia (un significato che sostiene la gioia, che dà spazio a tutte le emozioni del bambino e mostra che esse possono essere espresse attraverso la musica); la capacità di divertirsi in modo profondo (un po’ come la frivolezza di una commedia teatrale, che è elaborata e considerata); e, infine, la fiducia in se stessi, per godere della sfida di un compito difficile o complesso (spesso un progetto lungo e delicato, ma con enormi ricompense). Quando queste tre abilità sono acquisite, ogni bambino può raggiungere risultati positivi e permettere alla sua personale voce artistica di emergere.

Intervista di Roberta Scalise