Continuano le nostre interviste all’interno del format “Scuola delle eccellenze”, dopo la conversazione con la prof.ssa Mia Pekkala proseguiamo il nostro percorso con la prof.ssa Lydia Easley insegnante di arte in lingua inglese e teatro in lingua inglese della Daisy Primaria Internazionale e della Scuola Media Internazionale Holden.
Partiamo dagli albori: oltre a essere un’insegnante di arte, Lei è anche un soprano operistico. Come Si è avvicinata al mondo della lirica? E quali sono state le Sue esperienze di spicco in questo ambito?
Il mio primo incontro con la musica lirica è avvenuto a dieci anni, quando un’amica di famiglia mi ha portato a vedere Il barbiere di Siviglia. Eravamo sedute in decima fila – molto vicino! – e ho, così, potuto godere con la Rosina [la protagonista, N.d.R.] di tutto quello che succedeva sul palco. Mi ricordo ancora il suo vestito, bianco e con gli svolazzi leggeri, e mi ricordo che cosa ho pensato durante la sua aria principale: “Caspita! Si sta divertendo un sacco, lì sul palco: lo voglio fare anche io!”. Una volta tornata a casa, mia madre mi ha chiesto come fosse andata e se l’opera mi fosse piaciuta. Afferma che io ho risposto con: “Oh sì! Io voglio cantare, voglio diventare una cantante lirica!”. Da quel momento, e fino all’avvento della pandemia, ho, quindi, seguito il mio sogno, e ho anche realizzato una grande parte di esso!
Nel corso della mia carriera, infatti, sono riuscita a cantare in teatri bellissimi, in tutto il mondo, tra cui quelli di Bologna, Roma, Treviso, ma anche in Germania, quali quelli di Wiesbaden, Lipsia, Flensburg e Krefeld. Ho cantato perfino al Teatro Colòn di Buenos Aires e al Teatro degli Urali di Ekaterinburg in Russia: un’esperienza unica!
Come dialogano e si influenzano il mondo della lirica e quello dell’insegnamento? L’uno può agevolare l’altro, e viceversa? E se sì, in che modo?
I due mondi si influenzano assolutamente! Sin da piccola, ho sempre insegnato, allenandomi con mia sorella o con i compagni di scuola: era un’attività che mi sembrava naturale e mi piaceva. Mi ricordo che in terza elementare, per esempio, mi sono detta che diventare un’insegnante, da grande, sarebbe stato un bel lavoro, perché ci sarebbe sempre stato qualcosa di nuovo da fare ogni giorno.
Durante il mio periodo all’università ho, poi, lottato tanto con la mia passione per la lirica e il dono che avevo dentro di me per l’insegnamento, pensando proprio che questi due aspetti non potessero dialogare tra loro. La cosa buffa, però, è che, mentre cantavo, stavo anche insegnando presso la scuola di musica della mia università, perciò stavo facendo proprio quello che cercavo di convincermi che non avrei potuto fare! Alla fine, infatti, ho capito che le mie due inclinazioni potevano e dovevano trovare posto dentro di me, motivo per cui mi sono tenuta sempre aggiornata sui due ambiti, nel caso in cui mi fosse servito.
Anche se sembrano due mondi opposti, in realtà canto lirico e arte sono strettamente interconessi tra loro. Quando voglio sapere come fare qualcosa prendo lezioni, ma quando voglio imparare qualcosa ho bisogno di insegnarlo: è proprio durante il processo dell’insegnamento che si impara quello che si intende apprendere. La differenza, secondo me, consiste nell’analisi che l’insegnante svolge per semplificare il processo per gli allievi, unitamente al ripensare, dopo la lezione, a quanto svolto, al fine di ragionare su che cosa ha funzionato o meno. E questo, inoltre, aiuta l’insegnante a interiorizzare (e quindi imparare!) il materiale.
Per quanto concerne, invece, l’insegnamento dell’arte: qual è stato il metodo cui ha fatto ricorso, negli Stati Uniti e in Italia? Vi sono stati degli elementi di innovazione? In caso affermativo, quali?
Il mio metodo d’insegnamento dell’arte parte sempre dallo studente. Devo questo approccio a Howard Gardner, del quale ho seguito un intervento ospitato a Torino molti anni fa dedicato alla sua scoperta delle intelligenze multiple. Pur non avendo moltissimo tempo da dedicare all’insegnamento mentre cantavo, ho tuttavia cercato di interiorizzare il concetto e mi sono ritrovata, così, a osservare le persone che mi circondavano durante i viaggi, a teatro o durante le prove per uno spettacolo. Cercavo, insomma, di individuare se le persone accanto a me – un bambino sul treno, o chiunque mi capitasse davanti – dimostrassero alcune di queste intelligenze. Era un gioco affascinante, che mi ha aiutato molto anche all’interno dell’aula.
Per tale ragione, in tutte le classi in cui insegno cerco di corredare le lezioni con del materiale visuale, adeguando la mia voce a un tono abbastanza forte per essere sentita e, al contempo, a uno abbastanza lento per consentire agi allievi di comprendere a fondo ciò che voglio comunicare loro. In questo contesto, provo anche a non usare molte parole, dal momento che, se fossero troppe, esse potrebbero generare una chiusura nei bambini, che percepirebbero, così, eccessivo “rumore”.
Durante le lezioni, inoltre, creo anche diversi momenti di musica e movimento, sia per concedere una pausa alla concentrazione, sia per far respirare profondamente gli studenti e farli “risvegliare”. Attraverso il gioco – che non può mai mancare! –, infine, i bambini approfondiscono e continuano a interiorizzare la lezione, pur non rendendosi conto di imparare. Questo approccio offre loro un modo hands on per mettere in pratica quello che hanno studiato e per far sì che rimanga nella loro memoria più a lungo, avendo investito in esso molte delle loro capacità.
Che cosa l’ha condotta ad abbracciare il metodo educativo finlandese, caratteristico dell’Istituto Pascal e delle sue scuole? E che cosa, di esso, sente maggiormente affine al Suo modello didattico?
Dal mio punto di vista, qualsiasi metodo educativo che metta al primo posto i modi in cui lo studente impara meglio, che stimoli il bambino a pensare in maniera trasversale attraverso le diverse materie – per poi riuscire a trovare un collegamento o a dedurne un concetto –, che apprezzi il tempo, l’energia e anche la pazienza che lo studente e l’insegnante investono entrambi in questo viaggio educativo, è, senza dubbio, un metodo al quale sono profondamente interessata.
Il percorso didattico finlandese incorpora, infatti, molte delle caratteristiche che portano a bellissime esperienze scolastiche, e sono, quindi, onorata di far parte di una scuola che qui, in Italia, tenta di educare in tale direzione.
Dato lo stato in cui versa il mondo odierno, penso che sia arrivato il momento di cambiare gli antichi metodi d’insegnamento, visto che ne è ormai chiara l’inefficacia. Bisogna, allora, sperimentare altri metodi già testati in altri Paesi e funzionanti, affinché il cambiamento interessi anche gli insegnanti italiani – ma non gli studenti! Sono i docenti, appunto, che devono capire e cercare altri metodi, che devono provarli in classe. E sono proprio loro che, quando si trovano ancora all’università, dovrebbero avere più ore di “studio pratico”, magari insegnando in classi vere e proprie prima di conseguire il titolo, perché senza la pratica si torna a educare come ci è stato insegnato quando eravamo giovani. Ora, invece, è proprio il momento giusto per uscire dal vecchio vortice e creare un modello didattico dedicato maggiormente alle esigenze di oggi e, di conseguenza, al futuro dei nostri bambini.
Come si articolano, infine, le lezioni d’arte in inglese alla Daisy Primaria Internazionale? E su che cosa si focalizza, invece, il doposcuola, sia alla Daisy sia alla Scuola Media Internazionale Holden?
Le lezioni d’arte in inglese alla Daisy Primaria Internazionale sono basate sulla letteratura inglese per bambini. Utilizzando le storie, impareremo i sette elementi dell’arte, metteremo mano all’”alfabeto dell’arte”, attraverso diversi media, e scopriremo i concetti fondamentali che interessano tutti gli esseri umani, facendo, appunto, ricorso ai racconti. Le lezioni d’arte saranno, dunque, un momento introspettivo e creativo, che porterà i bambini a rilassarsi, per poi godere del resto della giornata con gioia e passione.
Sempre alla Daisy, è in atto un laboratorio doposcuola di teatro: un mondo in cui, fin da piccola, ho sempre partecipato attivamente sul palco, nei musical e, infine, nell’opera lirica. Per questo motivo, non potrei immaginare una gioventù senza l’opportunità di sperimentare il magico mondo del teatro! Per fortuna, grazie al forte sostegno dell’amministrazione della Daisy Primaria Internazionale, ho avuto la preziosa opportunità di presentare un laboratorio di teatro per i più piccoli, ai quali vorrei trasmettere la mia passione per questa meravigliosa arte. Oltre al teatro, poi, il laboratorio servirà per cimentare l’uso dell’inglese imparato a scuola, utilizzandolo nelle prove con i compagni.
Il laboratorio pomeridiano alla Scuola Media Internazionale Holden, invece, consiste in una combinazione di caposaldi dell’eredità culturale italiana, ossia l’opera lirica e il teatro. Nel corso dell’anno, infatti, faremo un bellissimo percorso dedicato all’origine del teatro, dai Greci e Romani fino a oggi, vedremo l’architettura teatrale greca e italiana, costruendo un modello di teatro, e andremo in gita a visitare i vari teatri della zona. Affronteremo, ancora, diversi tipologie di spettacolo, vagliandone caratteristiche ed elementi precipui – dalla lirica al musical, dalla prosa al teatro tradizionale orientale, fino al teatro di marionette.
Con un obiettivo finale: dopo un background di studio intenso, infatti, condurrò gli studenti a mettersi nei panni dei protagonisti e a produrre uno show incentrato sulla storia della Turandot di Giacomo Puccini. Gli allievi potranno decidere in quale modalità realizzare la rappresentazione: cantando loro stessi le parti, creando i propri pupazzi/marionette, o “alla greca”, declamando, quindi, i testi con un sottofondo musicale. In ogni caso, la scelta rimarrà agli studenti. Inoltre, questi ultimi dovranno scegliere se partecipare al progetto come protagonisti o da dietro le quinte, in qualità di stage manager, assistenti luci e così via. I ruoli sono tanti, e non tutti sono proprio evidenti al pubblico, ma in ogni teatro del mondo il supporto di chi lavora dietro le quinte è fondamentale!
Il laboratorio sarà tenuto in lingua inglese, quindi è consigliato avere una buona base linguistica per poter godere al massimo del progetto.
Intervista di Roberta Scalise